Intervista al direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt
Dal progetto Uffizi diffusi all’ingresso nelle collezioni di un’opera di street art, passando attraverso il tema dell’innovazione digitale del museo
Grande novità degli ultimi giorni, la collezione degli Uffizi sarà ampliata da un dipinto dell’artista britannico Endless. È la prima volta per un’opera di street art all’interno del museo fiorentino. Cosa ha favorito la scelta dell’artista inglese e la commissione di quest’opera in particolare?
Gli Uffizi hanno la collezione più grande e più antica di autoritratti e di ritratti di artisti. È una parte della collezione del museo che è sempre stata in espansione visto che non c’è mai stata un’interruzione del collezionismo. I Medici furono sempre attenti alle novità artistiche e alle opere contemporanee. Noi abbiamo già raccolto oltre cento ritratti di artisti importanti del nostro tempo da Antony Gormley a Yayoi Kusama e tanti altri. Ci mancava ancora uno street artist, che non potevamo non inserire visto che si tratta di una corrente artistica veramente importante. Ovviamente, la street art non viene creata per i musei; infatti, è forse l’unica tipologia d’arte che per definizione si oppone al concetto del museo. Perciò, nel caso di Endless, è importante sottolineare sempre che lui è uno street artist, ma la sua opera in questo caso è stata creata su commissione appositamente in uno studio. Sinceramente mi sorprende che molti musei specializzati nell’arte contemporanea non si siano ancora aperti a questo tipo di arte, non andrebbe trascurata. Anche se, ovviamente, bisogna trovare modi giusti per esporla sui muri di un museo, visto che si estrae dal suo concetto originario.
Direttore Eike Schmidt durante la nostra intervista
Ci può parlare del progetto Uffizi diffusi?
Il progetto è nato nella primavera scorsa con il primo lockdown, quando ci siamo chiesti come portare le opere d’arte più vicino alle persone, anche se l’idea di un museo diffuso c’era già quasi da un secolo. Le prime iniziative prese per spostare le opere dai depositi nel territorio risalgono ai primi del Novecento con l’idea di avere musei non soltanto nelle grandi città, ma su tutto il territorio toscano. Ora vorremmo andare oltre a quello che è stato fatto in passato perché abbiamo migliaia di opere nei depositi degli Uffizi e, a mio avviso, non è eticamente giusto tenerle lì senza che nessuno le possa vedere. In questo momento siamo in contatto con i primi trenta musei che ospiteranno le nostre opere, ci saranno luoghi piccoli, medi e addirittura grandi. Tutti i giorni ci stiamo preparando per l’apertura dei confini e il ritorno del turismo, che secondo me sarà ancora più intenso di prima. Ora è il momento per creare le infrastrutture intellettuali e culturali per poter assorbire e riflettere i flussi di visitatori.
A causa del Covid il mondo artistico si è spostato sempre di più online dove ormai è consolidato. Anche i musei dovrebbero essere sempre più attivi sulle piattaforme virtuali?
Assolutamente sì. Infatti, quasi tutte le piattaforme digitali gli Uffizi sono leader in Italia e fra le più seguite al mondo. Nonostante sia uno strumento di comunicazione importante, bisogna comunque essere coscienti che il mondo digitale non è un’alternativa alla visita vera al museo e alla percezione reale delle opere d’arte. Le piattaforme digitali sono molto utili quando utilizzate nella maniera corretta e produttiva, ma non potranno mai sostituire le emozioni che si vivono davanti ad un’opera d’arte.
Il direttore Eike Schmidt con lo street artist Endless durante la consegna dell'opera entrata a far parte della collezione delle Gallerie
Ha lavorato nei più prestigiosi musei europei e statunitensi; quali sono, secondo lei, le principali differenze nella direzione e nell’organizzazione museale che separano i due continenti?
Partiamo da una premessa che le differenze sono varie fra tutti i paesi del mondo, anche fra quelli che sono all’interno dell’Europa, ma anche all’interno dello stesso paese. Nonostante ciò ci sono alcuni punti che distinguono i musei americani da quelli europei. Per quanto riguarda le collezioni, le grandi raccolte europee nascono dalle case principesche quindi spesso hanno una storia molto più lunga. Le collezioni di Boston, Philadelphia e New York nascono nell’Ottocento e per gli Stati Uniti d’America sono considerati musei antichi. Nel contesto europeo, invece, sarebbero molto recenti, visto che qui abbiamo raccolte che risalgono anche al Medioevo, abbiamo una storia collezionistica veramente molto più lunga. È diverso anche l’intreccio tra il collezionismo e la committenza, visto che nel caso europeo si tratta di opere commissionate agli artisti, mentre negli Stati Uniti la grande maggioranza delle opere d’arte è stata acquistata sul mercato d’arte quindi saltando la fase del dialogo fra l’artista e il committente. Oltre alle differenze che riguardano la consistenza della collezione, anche l’interazione del museo con il pubblico è diversa fra i due continenti. Negli Stati Uniti i musei devono adottare una serie di operazioni per attirare i visitatori, altrimenti rimangono vuoti. Loro costruiscono il proprio pubblico e convincono le persone a venire al museo mentre in Europa, spesso, non c’è un rapporto con i visitatori perché i musei non si impegnano per attirarli. Questo élitarismo non c’è negli Stati Uniti perché con questo atteggiamento i loro musei chiuderebbero entro un anno dall’apertura.
Potremo ammirare il Corridoio Vasariano a partire dal 2022, come previsto?
Speriamo proprio di sì, per ora il lavoro sta procedendo com’era stato pianificato. Speriamo che non subentrino impedimenti, come anche nel caso del progetto degli Uffizi che dovrebbe essere finito entro il 2024. Ci auguriamo che la pandemia rallenti, grazie ai vaccini ma anche alla bella stagione che sta arrivando. Con la combinazione di tutti i fattori positivi speriamo di uscire presto da questa situazione ancora oggi molto preoccupante e, per certi versi, tragica. È importante andare avanti con i nostri progetti edilizi, impiantistici e di restauro, ma rimane comunque secondario rispetto alle vite umane ancora oggi a grande rischio.
Foto courtesy www.uffizi.it